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Jarod il camaleonte
The pretender


Fanfiction

  1.01 - La storia infinita - 3a parte


Jarod aveva capito come si sarebbe messa la situazione, dall'istante in cui era entrato nella toilette del casinò. Pur essendo nervoso, ostentò indifferenza verso il tono minaccioso usato dal biondo e con un gesto calmo e sicuro tirò fuori il cellulare dalla giacca. Sad glielo tolse dalle mani
- Dammi qua! -  disse. Jarod non tentò neppure di reagire.
Il biondo prese il telefono e premette alcuni pulsanti in rapida sequenza. Quando vide che non vi erano numeri memorizzati glielo lanciò. Jarod afferrò il cellulare e lo guardò fisso negli occhi - sei furbo amico - mormorò Sad.
- E tu, molto sospettoso...amico. - rispose Jarod con espressione dura.
- Ora chiama chi devi - disse il biondo con tono glaciale. Jarod lo fissò un breve momento, poi fece un numero.

Il cellulare iniziò a squillare tra i vestiti lasciati sul letto.
Il rubinetto della doccia di chiuse e si sentì un forte colpo ed un sommesso gemito di dolore.
Miss Parker, ancora avvolta nell'asciugamano e con i capelli bagnati, corse velocemente verso il letto ed iniziò a cercare la borsa, sotto i vestiti che aveva gettato alla rinfusa; trovatala, aprì la cerniera con un rapido gesto e prese il telefono.
- Pronto..? - rispose seccamente.
Jarod sorrise.
- Ciao, sono io.
- Jarod...! - mormorò Miss Parker assottigliando gli occhi. Jarod immaginò il suo sguardo, inquietante come quello di una fiera che scorge la sua preda in lontananza ma sa di essere troppo lontana per lanciarsi al suo inseguimento.
- Allora, è tutto a posto? - disse Jarod.
- Certo... - sibilò Parker - per venire a rispondere mi sono quasi rotta una gamba.
- Ma non è successo.
- Per tua disgrazia sono ancora in piedi - continuò la donna - e sono molto vicina a te...
- Molto bene. - disse Jarod guardando Sad che ascoltava la conversazione con le spalle appoggiate al muro - immagino che, come al solito, tu abbia già tutto pronto per me... - Miss Parker sorrise sarcastica.
- Io sono sempre pronta - mormorò - pronta a saltarti addosso, giorno e notte.
- Se c'è una cosa che mi piace di te, è la dedizione al lavoro - disse Jarod con un sorriso.
- Come mi piacerebbe darti prova più tangibile della mia professionalità... - Parker quasi tremava per i nervi, oltre che per il freddo.
L'acqua le scorreva sul viso e i suoi occhi erano lucidi, come stesse piangendo, ma il suo sguardo gelido era fisso contro la parte della stanza che aveva di fronte, quasi stesse immaginando di guardare Jarod negli occhi.
Un fremito di rabbia le attraversò il corpo.
- Qualche problema? - Jarod sorrise ancora, anche per darsi un contegno con Sad, che lo fissava senza perdersi un suo gesto. Parker era stata in silenzio un lungo momento, ma Jarod aveva continuato a sentire il suo respiro; quindi non era caduta la linea.

- Jarod... - disse piano Miss Parker.
- Ti ascolto.
- Facciamola finita. Perché non ci dici dove sei, così ti veniamo a prendere? - Jarod sorrise ancora. La conosceva troppo bene; avrebbe fatto il suo gioco.
- Certo, un appuntamento - disse Jarod con tono vivace - se ti dico dove e quando, tu verrai il più presto possibile, vero?
- Contaci - ringhiò Miss Parker - e se farai il bravo, ti farò mangiare qualche caramella durante il viaggio di ritorno.
Jarod guardò Sad e coprì il microfono del cellulare con la mano.
- Loro sono già pronti - disse - possono venire subito?
- Li aspettiamo - rispose Sad freddamente - di' loro di portare la roba, noi abbiamo il denaro. Ci vediamo per le 02.00, al casino Royal.
- E' un luogo sicuro?
- Garantiamo noi - Jarod riaccostò il telefono all'orecchio ma Sad lo interruppe con un gesto prima che potesse riprendere a parlare - ricorda loro che noi aspettiamo 11 persone; non una di più, chiaro?
- Questi erano gli accordi - disse Jarod.
- Jarod...Jarod, maledetto; rispondi!!! - anche se soffocato, il grido di Miss Parker era stato così forte da essere udito da quei quattro del gruppo che erano più vicini a lui.
- Sì, sono qui.
- Pensavo fossi già scappato - disse Miss Parker con tono sarcastico.
- No, resto qui per te - disse Jarod continuando a fissare gli occhi immobili di Sad - allora, vi aspetto.
- Che cosa...????
- Venite al Casino Royal per le 02.00. Io ci sarò e...mi raccomando: portati dietro la solita scorta. - Jarod non aspettò la risposta di Miss Parker e chiuse il cellulare.
- Il tuo contatto per le forniture è sempre lo stesso? - disse Sad avvicinandosi verso di Jarod.
- Certo. Non rischio se non con le spalle ben coperte.
- La voce era quella di una donna...
- Non pensavo fosse necessario mettervi al corrente del particolare.
- Infatti non ci interessa. - disse Sad e si allontanò verso la porta.
- Però...Caspita! Quella mujer con cui hai parlato era una furia! - disse un tizio che gli era vicino.
-  Anch'io ho avuto l'impressione che fosse nervosa. - disse un altro - che c'è, amico, l'hai fatta arrabbiare? - qualche scagnozzo del gruppo si trattenne dal ridere. Le labbra di Jarod si piegarono in un sorriso ambiguo.
- Beh, diciamo che fra me e lei c'è un conto in sospeso.
- Ma davvero? - disse Sad con una strana espressione. Sembrava divertito, anche se il suo viso manteneva la consueta fissità. Jarod sentì istintivamente, che stava per accadere qualcosa - Neils, tu forse non sai che i conti devono essere saldati, prima o poi. - mormorò Sad con un inquietante riflesso negli occhi.
- Io aspetto sempre che il mio creditore abbia il coraggio di farsi vivo. - disse Jarod con tono sicuro.
- Sì, mi sembra giusto. Infatti qui c'è qualcuno che vorrebbe parlare con te.
- Chi...?
- L'hai detto tu, un creditore - Jarod dava la schiena ad alcuni uomini del gruppo. Uno di essi, molto alto e dalla muscolatura massiccia, si avvicinò a lui e gli mise una mano su una spalla.
Jarod si giro d’istinto e il tizio gli sferrò un forte pugno allo stomaco. Fu preso di sorpresa. Il colpo violento gli fece perdere l'equilibrio e Jarod si accasciò a terra gemendo di dolore.
Jarod si portò a fatica una mano allo stomaco e fissò con occhi sbarrati la montagna di muscoli che lo sovrastava. Lo sguardo dell'ispanico brillava d'odio.
- Forse ti starai chiedendo chi è il signore che hai davanti - la voce di Sad. Da dov'era, avrebbe potuto guardarlo in faccia ma Jarod non osava voltarsi in direzione della porta.
- Ma che sta succedendo...? - chiese quasi a sé stesso con un filo di voce.
- Vedi, Neils, Miguel, il gentiluomo che è in piedi davanti a te, è il fratello di Peter Gonzales, che tu conoscevi benissimo. - Jarod si irrigidì - Gonzales è comprensibilmente alterato per quello che è accaduto al caro Peter.
- Comprensibilmente - disse Jarod a mezza voce.
- Però. Devi avere un forte senso dell'umorismo se in questo momento ti va di fare lo spiritoso.- disse un tizio del gruppo.
- Sì, condivido - disse Sad - ad ogni modo, Neils. Avrai capito di certo che Gonzales ci terrebbe a riscuotere un certo debito che tu hai nei suoi confronti. Sono le parole che hai usato tu, no? - sentì che qualcuno del gruppo sghignazzava di piacere; certo, vedere un "duro" come lui al tappeto era sempre una soddisfazione. Jarod provò ad immaginare che faccia potesse avere il biondo quando sorrideva. Forse per la tensione, forse per l'impossibilità di ricreare sulla faccia del tizio un'espressione che potesse somigliare a qualcosa di simile ad un sorriso, Jarod non riuscì a pensarci.
Un fremito di paura, acutizzò il dolore che provava allo stomaco.
Quella bestia poteva ammazzarlo.
- Gonzales, sai quali sono i patti, vero?
- Certo - grugnì l'energumeno.
- Divertiti un po', è un tuo diritto ma... niente colpi alla testa. Neils non ci servirà a nulla se non sarà in grado di parlare.
- Gli spaccherò ogni osso ed ogni muscolo non vitale - mormorò Gonzales. Jarod sentì che Sad aveva riso; dopotutto aveva una risata ordinaria.
- Ok. Noi siamo nella sala, quando hai finito...portacelo. Non credo infatti sarai in grado di camminare, Neils - disse Sad con tono sinistramente allegro.
Jarod sentì che la porta veniva aperta. Sad fu il primo ad uscire e tutti gli altri del gruppo, dietro di lui. Un attimo dopo, nel bagno erano rimasti solo Jarod e Gonzales.
- Finalmente sei qui, brutto figlio di puttana - ringhiò Gonzales - ora ti tratterò così bene che te lo ricorderai per sempre. - Jarod si strinse il braccio al torace e lo fissò senza tradire le sue vere emozioni - magari potessi schiacciarti la testa...!

- Ricorda che devo essere presentabile, almeno da seduto... - disse Jarod con voce un po' strascicata per il dolore.
- Il capo ha detto solo che devi essere in grado di parlare, no? Penso che potrai parlare anche con i denti rotti... - disse piano Gonzales guardando Jarod in fondo a gli occhi.
Con una piccola rincorsa Gonzales cerco di sferrare un calcio in faccia a Jarod, ma questi aveva incassato il primo pugno molto meglio di quanto potesse sembrare. Jarod afferrò con entrambe le mani il piede di Gonzales e prendendolo per la punta ed il tallone, gli fece fare un giro violento verso l’interno. Si sentì un "crack".
Gonzales stramazzò a terra urlando dal dolore. I legamenti del suo ginocchio erano saltati. Jarod di alzò subito in piedi. Sentì una dolorosa contrazione dello stomaco ma la ignorò, si voltò verso la porta. Sapeva che dovevano esserci degli uomini di guardia, e che sentendo strani rumori sarebbero entrati in bagno. Infatti non si fecero attendere.
La porta si spalancò ed entrarono in due.
Uno gli andò subito addosso sbattendolo con le spalle al muro. Jarod ricevette un altro forte colpo allo stomaco. La rabbia e il dolore gli diedero la forza di reagire violentemente. Riuscì a respingere il tizio, gli prese la pistola dalla fondina e gli diede un forte colpo con il calcio delle pistola. Il primo si accasciò a terra. Non fece in tempo ad evitare un calcio alla mano che gli fece mollare la presa sull'arma, che cadde vicino al muro. Lì vicino era steso Gonzales che ancora si lamentava gridando bestemmie in spagnolo. Jarod vide che l'uomo non si era ancora accorto dell'arma.
- Devo toglierla di lì, se quello riesce a prenderla, me la scarica addosso; patti o non patti - cercare di pensare e contemporaneamente evitare di prendere un altro pungo, magari nello stomaco, era sempre un'impresa ma stavolta Jarod era davvero molto provato.
Il tizio che aveva davanti approfittò di un suo momento di indecisione e gli diede un pugno in faccia che quasi lo stordì. Sentì il sangue in bocca.

Il dolore allo stomaco si faceva sempre più forte ma Jarod era abituato alla sofferenza.
Con una finta, evitò il secondo colpo alla faccia che il tizio aveva intenzione di rifilargli, poi, con un gesto veloce della mano aperta con il palmo verso l'alto, Jarod tirò un secco colpo alla gola dell'avversario.
L'uomo crollò a terra. Jarod rimase un attimo accanto al tizio che aveva appena steso, e poi emise un profondo sospiro di sollievo. Si ricordò della pistola e si voltò verso Gonzales.
L'ispanico si lamentava ancora e non aveva neanche cercato di raggiungere l'arma. Jarod si chinò e la prese in mano. L'istinto l'avrebbe spinto a prenderla ma sapeva che sarebbe stato nuovamente perquisito prima di avere accesso alla sala privata di Ortega, era quindi inutile.
Comunque, non poteva lasciarsi alle spalle una pistola carica.
Si chinò sull'uomo a cui aveva preso la pistola e cercò nella sua giacca il silenziatore. Lo trovò e lo mise alla pistola, poi si avvicinò con passo fermo verso Gonzales.
- Hey, Miguel... - mormorò Jarod con un sorriso maligno. L'uomo si voltò verso di lui con espressione feroce ma quando si vide la pistola puntata addosso, l'ira lasciò spazio al terrore.
- No... - gemette - no...oh Dio... - Jarod gli rivolse uno sguardo spietato e Gonzales chiuse gli occhi tremando di paura.
Al di fuori dalla porta si udirono solo delle urla terribili, poi nulla.
Gonzales ancora tremava con la faccia coperta da un braccio mentre Jarod contemplava soddisfatto una serie di buchi nel soffitto. Gettò la pistola scarica accanto all'ispanico che non osò alzare la testa per guardarlo, e si avvicinò ad un lavandino del bagno.
Lo specchio gli restituì un'immagine un po' disfatta. I capelli erano in disordine, aveva il labbro inferiore tagliato, comunque nulla che un po' d'acqua non potesse sistemare. Quello che gli faceva davvero male era lo stomaco, ma poteva anche simulare di non provare dolore.
- Beh, caro Miguel - disse Jarod sorridendo - dopo tutto, sembra che quello che andrà di là con le sue gambe, sarò io. - Gonzales non gli rispose, aveva anche paura di lamentarsi per il dolore al ginocchio.
Jarod sorrise, aprì il rubinetto, ed iniziò a lavarsi la faccia.

Da quando aveva ricevuto la telefonata di Jarod, Miss Parker sembrava come impazzita. Arrivata a stento in albergo, era riuscita ad evitare le solite, asfissianti, domande di rito, trincerandosi dietro la sua consueta barriera di ghiaccio.

Non le era sembrato vero poter tornare nella sua camera d'albergo. Tremava ancora di rabbia e di tensione.

Appena entrata nella sua stanza, era andata verso il frigo bar, aveva preso la bottiglia di vodka e, senza bicchiere, aveva mandato giù un paio di sorsi. Aveva consolato così la sua povera ulcera.

Dopo un giorno passato legata ed imbavagliata, immobilizzata su un letto d'albergo, Miss Parker aveva avuto solo un desiderio, un desiderio che per un momento era divenuto più importante di catturare Jarod: farsi una doccia. Una calda doccia rilassante.

Ma all'improvviso come sempre, Jarod l'aveva chiamata e con quella telefonata, era riuscito anche a negarle quel piccolo piacere. Miss Parker aveva optato allora per una rapida doccia fredda che l'aveva ulteriormente innervosita, si era rivestita in fretta, ed era scesa nella hall, dove aveva convocato già tutta la squadra di spazzini al completo. Nessuno si era permesso di farle domande, si vedeva chiaramente che non era dell'umore giusto.
Che cosa aveva in mente stavolta, quel diavolo di Jarod?
Miss Parker se lo stava chiedendo da quando le aveva chiuso il telefono in faccia come al solito. Sicuramente non intendeva tornare a casa, questo no, mai!
Qualunque fuggitivo si sarebbe arreso piuttosto che vivere braccato per il resto della vita ma non lui. Non Jarod.
- Si tratta di uno dei tuoi stupidi giochetti, vero Jarod? - pensò Parker. Uno stupido giochetto a cui lei non poteva far altro che partecipare, come al solito.
- Miss Parker - disse Sam - siamo pronti. Mancano solo il dottor Sydney e il signor Broots. Parker fece una smorfia.
- Dove sono? - chiese con freddezza.
- Riposano nelle loro stanze.
- Allora non scomodatevi a disturbarli, ci sarebbero solo d'intralcio, come al solito. - Miss Parker guardò la scala che conduceva al primo piano, dove erano le stanza di Sydney e Broots.
Sì, non era il caso di portarli all'appuntamento, poteva essere molto pericoloso.
Molto meglio che restassero al sicuro.
- Godetevi la dormita - pensò Miss Parker - voi che potete farlo.
Poco dopo, tre Lincoln nere sfrecciavano a tutta velocità verso il Casino Royal.

Casino Royal

Jarod aprì la porta ed uscì da bagno. A parte il taglio sul labbro, sembrava a posto.
Con uno sguardo assai persuasivo Jarod fece indietreggiare gli uomini di Ortega. Sad intravide dietro le sue spalle e la porta socchiusa, le sagome di tre dei suoi a terra.
- Beh, Neils, non credevo che saresti stato così in gamba. Dopo tutto la tua fama è meritata.
- Ne dubitavi?
- Sono in tanti quelli che raccontano storie su di sé, o che pagano perché se ne raccontino su di loro.
- Ma davvero? - Jarod gli rivolse uno sguardo pungente - non so con chi tu abbia a che fare solitamente, ma per me hanno sempre parlato i fatti, Sad.
- Dimmi, quelli di là...li hai ammazzati? - Jarod scosse il capo.
- No, non ne valeva la pena. Piuttosto, ora che ho saldato i conti con i creditori, credo che dovremmo andare in un certo posto a parlare d'affari.
- Sì, certo. Vieni, ti porto dal capo. - Sad gli voltò le spalle e si diresse verso le porte della sala privata. Jarod rivolse una breve occhiata alla sala e vide come certi infiltrati del FBI si stessero appena riprendendo dallo spavento di non vederlo più uscire dal bagno.
Notò che anche il croupier era tra quelli che lo guardavano fisso.
- Beh, non mi sbagliavo allora - pensò - anche lui è un federale.
Accennò ad un sorriso, come a far intendere loro che andava tutto bene, poi si sistemò la giacca, in particolar modo le maniche sgualcite. Con un'impercettibile gesto dell'indice Jarod sfiorò il quadrante del suo orologio.
Era il segnale: Tutto poteva procedere come stabilito.
Poi rivolse lo sguardo a Sad e gli altri, e con passo sicuro lo seguì verso la sala; lì Jarod avrebbe trovato ad attenderlo nientemeno che Ortega in persona.
Gli uomini si diressero verso la sala riservata. Entrati dentro, Jarod vide con sorpresa che la stanza era molto più piccola di quanto avesse pensato guardandola dall'esterno.
Dentro vi erano solo tre tavoli che all'occorrenza potevano essere adattati ad ogni tipo di gioco.
Jarod sollevò lo sguardo verso il soffitto. Era così basso che, alzando un braccio, avrebbe potuto sfioralo con le dita. Sembrava fatto di uno strano materiale dorato che rifletteva la poca luce presente nella stanza; infatti solo uno dei tavoli in fondo era illuminato direttamente da un proiettore, e le uniche altre luci nella stanza erano quelle dei segnali che indicavano le uscite d'emergenza.
Jarod vide che le pareti erano rivestite in moquette giallastra, e la moquette serviva ad assorbire i rumori. Forse la stanza era anche insonorizzata, giusto per essere sicuri. Questo pensiero lo fece innervosire.
Rivolse lo sguardo avanti, verso Sad, che era entrato per primo, e dietro di lui Jarod vide altri uomini. Stavano seduti al tavolo illuminato. Erano in quattro. Quello seduto al centro, era l'unico che continuava ad ostentare indifferenza verso di loro.
- Ortega - pensò Jarod. Con Sad e i suoi uomini, erano in 8 nella stanza; Ortega compreso.
Non c’era più nessuno nella sala e dunque non c’erano neanche federali. Jarod aveva previsto anche quest'eventualità, ma sapere che in caso di bisogno sarebbe stato solo, certo non lo faceva stare tranquillo. Continuando ad osservare notò 6 telecamere, una sopra ogni tavolo, e vide che ve ne erano altre negli angoli. Tutto quello che accadeva in quella stanza era controllato.
Jarod si fermò davanti al tavolo di ORTEGA. L'uomo non lo degnò di uno sguardo e continuò a sfogliare le carte da gioco dal suo mazzo. Sad si avvicinò all'uomo con circospezione e chinandosi su di lui, gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Un sorriso fulmineo sfiorò le labbra di Ortega che finalmente sollevò lo sguardo dal suo solitario.
- Allora sei TU quello che mi ha ammazzato due uomini, eh? - il tono della sua voce sembrava quasi divertito.
- Ne ha anche ridotti male altri tre. - aggiunse Sad.
- Bene, complimenti! - Ortega scostò le carte ed incrociò le dita delle mani sul tavolo - a dire il vero, io credo che tu abbia fatto proprio una grossa stronzata a fare secchi quei due in albergo. Santo cielo, un po' di giudizio...
- l'uomo sorrise ancora, Jarod cercava di fissarlo con indifferenza ma era difficile - tutta quella polizia intorno ci ha dato grossi problemi.
- Non mi sembra di avervi lasciato nei guai - disse Jarod seccamente.
- No, no; infatti. Ma sai, gli sbirri in mezzo ai piedi mi danno sempre fastidio. Sono come le mosche. Quando se ne vedono troppi in giro, vuol dire che c'è qualcosa di marcio che li attira - Jarod ignorò la frecciatina di Ortega.
- Che cosa ci facevano quei due nella mia suite?
- Ordinaria amministrazione - sorrise Ortega - io mando sempre i miei uomini a fare un controllo a sorpresa. Sono fatto così...
- La prudenza non è mai troppa. Ma a volte la mancanza di fiducia si paga cara - mormorò Jarod con un sorriso di risposta a quello di Ortega. L'uomo sospirò e lo fissò negli occhi con uno sguardo ostile che contrastava troppo con l'espressione finta rilassata che aveva sul viso.
- Mio caro Neils, se non ti faccio fuori è proprio per una questione di soldi, di...pagamento. Visto che sei qui gratis, tanto vale sfruttare il servizio, no? - rise. Gli scagnozzi intorno parteciparono con un paio di sorrisi di circostanza. Quando Ortega smise, tutti ripresero la consueta espressione truce. Anche Jarod si sforzò di sorridere, ma gli veniva difficile; anche per quel brutto taglio alla bocca. - Allora - riprese Ortega - credo che sia venuto il momento di parlare d'affari.
- Non aspettavo altro - disse Jarod.
- La roba è lì sul tavolo - fece un cenno in direzione di uno dei tavoli coperti di stoffa verdastra. - Non la vuoi controllare?
– Ci siamo sempre fidati, ci fidiamo anche adesso. - rispose Jarod con sicurezza e finto rispetto. Ortega sorrise di nuovo.
– Bene, bene. Mi piace questo ragazzo! Anche se mi ha ammazzato due uomini - rise ancora. - Sad portaci da bere. Cosa vuoi, Neils?
– Un Whisky - ne aveva bisogno. Chissà che non lo aiutasse a sentirsi più sicuro.
- Due Whisky Sad. - ordinò Ortega, sempre fissando Jarod negli occhi.

In un veicolo

Miss Parker continuava ad agitarsi sul sedile della macchina. Si sentiva combattuta sul da farsi. Non sapeva se andare subito al Casino o se aspettare fino all'ora dell'appuntamento.
Gli altri componenti della squadra si limitavano a fissarla in silenzio. Sapevano che era inutile cercare di suggerirle una cosa o l'altra. Come ringraziamento del consiglio, avrebbero ricevuto solo una massiccia dose di insulti.
Miss Parker d’altronde non aveva la benché minima idea di cosa fare.
Ormai era l’una ed aspettavano da un'ora.
Niente, nessuno strano movimento; solo gente che entrava ed usciva dal casino.
Non vi era alcuna traccia di Jarod. Oramai le sembrava di aspettare da un'eternità. Smise ti ticchettare nervosamente le lunghe unghie laccate e prese la ricetrasmittente.
– Rapporto della situazione – disse Miss Parker con espressione tesa.
- Tutto normale - fu la tempestiva risposta. Miss Parker strinse le labbra e buttò sul sedile la ricetrasmittente. Afferrò la borsa e si mise a cercavi dentro qualcosa, quasi con un furia. Trovò il pacchetto di sigarette, ne prese una e la accese.
Glover ed un altro la fissarono.
- Beh, meno male che siamo in macchina con lei. - disse Glover - è la decima volta in cinque minuti che fa la stessa domanda a Sam...
- Già - disse l'altro - ma sai, non so se sia meglio stare seduti accanto ad una bomba che sta per esplodere, oppure starne a debita distanza, come lo è Sam. - Glover lo guardò ed annuì pensieroso.

In una stanza

- Jason, guarda: è almeno un'ora che stanno lì.
- Sì, ho visto - mormorò Jason - non passano certo inosservate.
- Ce ne sono tre: una lì di fronte, le altre due posizionate all'inizio ed alla fine della strada - Jason tese la mano e si fece dare il binocolo per osservare la situazione più da vicino. - mentre seguivo i loro movimenti - continuò il detective - mi sono collegato alla nostra banca dati ed ho fatto un controllo.
- Che hai scoperto?
- Quelle tre Lincoln nere sono intestate ad una società finanziaria di Blue Cover.
- Deve trattarsi della solita copertura.
- Senza alcun dubbio - concluse Rupert - bene. Secondo te, a questo punto che dobbiamo fare? - Jason gli porse il binocolo e si allontanò dalla finestra. Si sedette su una sedia e guardò il detective con espressione preoccupata.
- Francamente, non lo so. Potremmo...intervenire...
- E se si trattasse degli uomini di Ortega? Quel tizio è famoso per la sua prudenza. Può darsi che abbia messo all'erta una squadra dei suoi per controllare la situazione.
- Sì, certo; questo è un rischio ma...qualcosa mi dice che quelle tre Lincoln non hanno niente a che fare con il nostro amico. Questa società di Blue Cover non fa parte dei contatti di Ortega, e noi siamo riusciti a raggiungerli quasi tutti. - Rupert fissò Jason per un momento ed annuì.
- Sì. Alla fine penso che sia meglio fare un controllo. - il detective si avvicinò al telefono e fece rapidamente un numero. Jason rivolse lo sguardo verso di lui.
- Speriamo di non mettere tutti in allarme per nulla - mormorò.
Poco dopo, Jason ed il detective Rupert erano già per la via. Fecero a piedi un rapido giro dell'isolato e poi entrarono nel veicolo che era stato posizionato sul retro del palazzo nel quale si erano appostati. Avvicinarsi all'obiettivo in auto era più prudente. Se non altro, ci si esponeva meno fisicamente; almeno in un primo momento dato che prima o poi sarebbero dovuti scendere.
Attraverso una via secondaria, risalirono la strada per poterla percorrere dall'inizio alla fine. Avevano intenzione infatti, di passare davanti ad almeno due delle auto. In particolare, era importane controllare quella parcheggiata davanti all'ingresso del casino.
Così fecero.
L'anonimo veicolo su cui erano Jason ed il detective Rupert, superò la prima macchina ad andatura moderata. I vetri erano scuri, non si poteva scorgere all'interno neanche l'ombra degli occupanti.
- Nessun movimento - mormorò Jason.
- Non si è aperta neanche una fessura in un vetro. Fanno quasi finta di non esserci!
- Troppo appariscenti per non farsi notare. Mi chiedo perché i cattivi continuino ad usare sempre macchine simili. Prevedibile: sa troppo di film poliziesco! - il detective lo guardò e scosse piano il capo con espressione divertita.
- Se non fossimo qui ed ora, la tua battuta mi farebbe quasi ridere - mormorò.
L'auto di Jason e del detective Rupert continuò a scivolare verso le altre due Lincoln nere, immobili ai loro posti. Erano quasi giunti all'altezza dell'auto davanti al casino che, inaspettatamente, si aprì una portiera dell'auto ed una donna uscì dalla macchina.
Jason la guardò dritta in faccia, Miss Parker sgranò i suoi occhi grigio metallo.
- Rupert, è lei! E' lei...! - gridò Jason.
- Lei chi?
- Quella che mi ha steso in albergo! Presto, ferma la macchina! Fermati! - il detective diede un forte colpo di freno e la vettura della polizia si arrestò in mezzo alla strada.
Miss Parker capì subito che stava per accadere; prese la sua trasmittente e diede ordine alle altre due macchine di intervenire. Jason intanto era sceso dalla vettura con la pistola in pugno e subito l'aveva puntata su di lei.
Anche Ruper non perse tempo, come scosso da un fulmine accese la radio della macchina.
- Qui Olimpo, qui olimpo! - disse - luce verde, ripeto: luce verde!
Quello che seguì fu il chaos più totale.
Per sfortuna di Jason, Sam lo sorprese alle spalle. Il poliziotto fu rapidamente disarmato e buttato giù con un pugno alla mascella. Il povero Jason rimase ancora una volta steso a terra. Anche il detective Rupert fu neutralizzato da due spazzini della squadra di Miss Parker. Intanto le altre due Lincoln nere si erano fermate davanti al casino. Un numeroso gruppo di persone vestite di scuro si riversò sulla strada.
Gli agenti messi in allarme dal detective Rupert, seguivano le loro mosse dalla postazione davanti al casino.
- Ma chi diavolo sono quelli? - si chiese quello che dalla finestra aveva assistito alla scena.
- Non lo so, ma non hanno certo l'aria di essere clienti del Casino.
- Fra quanto arriveranno i rinforzi?
- Pochi minuti, non preoccuparti. Ho anche chiamato un'ambulanza - l'agente si voltò verso il collega.
- Faresti bene a chiamarne più d'una. Secondo me, quelli si preparano a fare una strage! - intanto la squadra di spazzini si era rapidamente radunata attorno a Miss Parker.
- E' ora di entrare dentro. - disse la donna.
- Non sono ancora le due... - osservò Sam. Lei lo sfiorò con uno sguardo gelido.
- Mi piace la puntualità - mormorò - Andiamo!
Sulla via intanto l’agitazione era totale, molti poliziotti in borghese che da prima si occupavano di cose più impensabili cercavano di raggiungere i propri colleghi di fronte al casino facendosi spazio tra la folla di persone sulla via, aiutandosi con insulti e metodi poco ortodossi.
Il gruppo del Centro, con tutti gli spazzini armati fino ai denti, si diresse verso il Casino. Entrarono nel locale con le pistole nascoste sotto le giacche scure, giusto per non generare inutili scene di panico collettivo.
Poco dopo, anche i rinforzi chiamati dagli agenti furono sul posto a sirene spiegate. Un gruppo di tiratori scelti dell'FBI si posizionava già all'ingresso armi in pugno.
Arrivarono anche parecchie ambulanze.

 

Jarod ed Ortega sorseggiavano tranquillamente il loro whisky ma tra di loro vi era una palpabile tensione. Jarod sentiva chiaramente che l'uomo che aveva davanti sospettava qualcosa, magari senza motivo ma istintivamente. Era molto intelligente ed intuitivo.
Ortega seguiva ogni sua mossa, cercando, allo stesso modo, di tenerlo il più possibile a disagio. L'ispanico aveva uno sguardo magnetico e cattivo, paralizzava l'avversario come un serpente.
Ad un certo punto si spalancò la porta della sala. La stanza, prima isolata da ogni rumore, fu investita dal trambusto e dalle urla.
- Capo, capo! - uno scagnozzo di Ortega entrò trafelato - c'è una squadra di federali nel Casino! La polizia è fuori, siamo circondati...!!! - Jarod guardò l'orologio: erano le 2 meno 5. Doveva trattarsi della squadra del Centro, Miss Parker cercava sempre di arrivare in anticipo, lo sapeva bene. Si udirono dei colpi di pistola. Sicuramente qualche criminale, pensando di essere caduto nelle mani della polizia, aveva tentato una reazione disperata ed era stato freddato sul colpo. O forse era già morto qualche agente. Jarod lasciò il bicchiere sul tavolo. Gli occhi Ortega sembravano due coltelli pronti a schizzare dalle orbite per infilzarlo. Fece per alzarsi ma l'ispanico gli puntò subito la pistola contro.
- Lurido figlio di puttana - ringhiò Ortega - dannato!!! Tu...tu pensavi di fregarmi, eh? Di fregare me!!! Che sei, un federale, un poliziotto della narcotici? - gli occhi dell'uomo erano lucidi e taglienti come lame affilate. Jarod aveva paura - No...non mi interessa sapere chi tu sia davvero - mormorò Ortega con sprezzo - so solo una cosa: tu non uscirai vivo di qui -nonostante la confusione, Jarod riuscì a sentire il suono della sicura che veniva tolta - crepa, bastardo, crepa! - era finita.
Ortega stava per premere il grilletto quando due spazzini entrarono di colpo nella stanza. L'uomo si voltò istintivamente verso la porta, e Jarod approfittò del suo breve attimo di distrazione. Quando Ortega puntò nuovamente lo sguardo verso di lui, con una mossa fulminea, Jarod afferrò il bicchiere di whisky che era ancora sul tavolo e glielo tirò in faccia. L'ispanico non ebbe il tempo di reagire.
Jarod si buttò a terra e strisciò verso uno dei tavoli verdi; le pallottole hanno iniziato a fischiare. Ortega puntò la pistola verso di lui ma si accorse che i due uomini stavano per sparagli addosso, così sbagliò la mira.
Un primo sparo e poi una tempesta di spari in risposta.
Jarod gemette di dolore.
Ortega lo aveva colpito alla gamba.
Non poté voltarsi a vedere che ne era stato di lui. Forse era stato freddato dagli spazzini, forse era riuscito a trovare riparo.
Jarod sentiva le pallottole schizzare a tutta velocità sopra la sua testa; il rumore delle raffiche di mitra era superato dall'intensità delle grida.
Rumori di oggetti che si rompevano, uomini che crollavano a terra feriti, altri morti.
I due uomini del Centro che lo avevano salvato per dovere, dovevano essere stati colpiti, dato che non lo avevano seguito per prenderlo, anche se potevano averlo lasciato andare momentaneamente per motivi di sicurezza. Con tutta quella confusione intorno, avrebbero rischiato di farlo uccidere. Già.
Jarod continuò a camminare a carponi fin quando non raggiunse il tavolo. Si mise seduto e guardò la ferita. Era stato colpito di striscio, perdeva sangue come una fontana ma non era davvero nulla di grave. Jarod prese il fazzoletto di seta che portava al collo e se lo legò attorno alla gamba. Avrebbe tamponato un po' il sangue.
Intanto, Miss Parker, Sam ed altri due spazzini, avevano trovato riparo dietro il bancone del bar. La confusione nella sala era davvero impressionante.
Alcune pallottole che trapassavano i muri, andavano a colpire le slot machine che andavano in corto. Più d'una riversò a terra mucchi di monetine alle quali, per il momento, nessuno era interessato.
Miss Parker a la sua squadra avevano girato tutta la sala principale, cercando di trovare Jarod. Parker era sicura che lui dovesse trovarsi dentro il Casino, così avevano guardato dappertutto, per quanto fosse loro possibile. L'unico posto al quale non avevano avuto ancora modo di avvicinarsi, era quella saletta ad una ventina di metri da dove adesso si trovava con Sam. Forse Jarod era lì.
Un altro spazzino della squadra riuscì a raggiungerli dietro il bancone che li riparava.
- Rapporto! - gridò Parker. Il tizio cominciò a parlare ma sembrava un video senza sonoro. Miss Parker si innervosì e lo tirò per la giacca contro di sé, ad un millimetro dal suo orecchio. - parla più forte...!
- Miss...miss Parker, ci sono i Federali...
- Che cosa???
- Hanno circondato il Casino dopo il nostro ingresso.
- Che diavolo c'entrano quelli dell'FBI con... - in un istante Miss Parker capì in mezzo a cosa era capitata. Capì tutto.
Jarod era uno del FBI, si trovava nel Casino per una missione e dato il posto... Sì, forse Jarod aveva cercato di inserirsi nel giro locale di traffico di stupefacenti. Era quindi in missione! Jarod poteva morire. Un brivido freddo le scosse le membra. Cominciò a mancare il fiato ed ebbe una violenta fitta allo stomaco.
Non doveva succedere, non poteva succedere!
- Basta, vado a prenderlo! - gridò Parker a Sam.
- Ma non sa se davvero... - lei non poteva sentirlo, ma non lo avrebbe ascoltato neanche se non vi fosse stato quell'inferno intorno.
Miss Parker fece per muoversi dal nascondiglio quando improvvisamente mancò la luce. Il Casino piombò nel buio più totale. Per un momento tutto tacque, vi fu come un attimo di tregua. Le luci verdi d'emergenza, segnavano il perimetro della sala. Nonostante l'oscurità, Parker si accorse che avrebbe potuto raggiungere la saletta senza difficoltà; bastava usare le luci come punti di riferimento; per il resto, aveva osservato il breve tratto che la separava dalla stanza quando c'era la luce, e quindi sapeva come muoversi.
Nel salottino intanto c’era il finimondo. Vi erano almeno una dozzina di persone che si sparavano tra di loro in un locale chiuso; era davvero allucinante. L’odore della polvere da sparo si faceva sempre più pesante. Non vi era luce e quindi le uniche cose visibili erano gli indicatori delle uscite d’emergenza e le fiammate delle armi. Jarod si sentiva in trappola.
Davanti all'albergo continuavano ad arrivare auto della polizia.
Ormai l'edificio era circondato da almeno una cinquantina di agenti. La tensione era salita alle stelle e tutti erano pronti ad ogni evenienza, ma a causa dell'improvviso black out e dell’imprevisto che aveva rovinato i piani, nessuno sapeva quale fosse la prima mossa da fare. Non restava che aspettare. Il casino fu isolato.
Miss Parker aveva ormai intuito lo scopo dell'FBI.
Se, come pensava, l'edificio era zeppo di trafficanti di droga e Jarod era lì con loro, lui si trovava in gravissimo pericolo. Ma Jarod doveva uscire vivo da quell'inferno, doveva!
Non esitò ancora.
Da dentro la stanza provenivano ancora spari, anche se, a causa della mancanza di luce, la frequenza dei colpi era diminuita. Cercando di fare attenzione a stare il più giù possibile, Miss Parker iniziò a muoversi verso la porta della saletta, tenendo d'occhio le fiammate.
All'interno, Jarod si riparava ancora dietro ad un tavolo. Cercando di muoversi dal suo nascondiglio, era quasi inciampato nei cadaveri di due uomini. Non poteva vedere chi fossero, spazzini o uomini di Ortega, ma non faceva davvero differenza. Decise perciò di restare immobile al suo posto, alla fine era più sicuro; almeno fin quando non sarebbe tornata la luce. Le munizioni della prima pistola che aveva trovato, erano finite. Jarod ne prese un'altra che era accanto ad uno dei corpi. Trovò anche un paio di caricatori.
Jarod chiuse gli occhi e strinse la pistola tra le mani. Odiava sparare, aveva dovuto uccidere un uomo per salvare la vita di Broots una volta ma...
era davvero terribile. Lo ricordava chiaramente, non aveva avuto scelta; e non vi era neanche stavolta: doveva difendersi.
Ad un certo punto qualcuno sparò nella sua direzione. Jarod sentì, ma non vide, le pallottole passargli accanto e conficcarsi nel legno ad un paio di centimetri da lui.
Strappò un pezzo di stoffa che copriva il tavolo e ne avvolse la canna della pistola, per sopprimere le fiamme. Sentì un altro colpo verso di lui.
Per quel che ne poteva sapere poteva essere chiunque, anche un agente. Non volle rischiare e rimase passivo.
Intanto Miss Parker era riuscita a raggiungere la porta d'ingresso della sala, ed ora si trovava proprio davanti ad essa. Mise una mano sulla porta e con attenzione la spinse, mentre con l'altra mano stringeva la pistola. Se qualcuno avesse provato a spararle addosso, sapeva come rispondere.
Appena fu dentro si guardò intorno. Le fiammate delle pistole le permisero di individuare la posizione degli uomini. Individuò gli spazzini del Centro dall'inconfondibile rumore delle loro S&W. Fece un balzo e si trovò subito vicino ad uno di loro.
Sentendosi toccare, l'uomo provò istintivamente a reagire. Miss Parker sentì la canna della pistola puntata su di lei, la afferrò.
- Imbecille sono io! - gli gridò rabbiosa. Il tizio abbassò subito la guardia.
- Che diavolo sta succedendo qui?
- Miss Parker...ci sparano addosso da tutte le parti! - furono esplosi alcuni colpi nella loro direzione e Miss Parker si rannicchiò dietro il tavolo per ripararsi.
- Siamo all'inferno... - mormorò tra i denti poi puntò la pistola e sparò un paio di colpi nel buio.
- Accidenti, l'aria è irrespirabile - mormorò l'uomo accanto a lei. Miss Parker lo afferrò saldamente per un braccio.
- Dimmi, Jarod... lo hai visto...? E' qui...?
- Quando siamo entrati l’ho intravisto seduto al centro della sala, dopo...
- Dopo...
- Vi è stata molta confusione, Miss Parker. Credo...credo di averlo visto a terra...
- A...a terra? - fortunatamente vi era troppo rumore perché fosse possibile cogliere le sfumature della voce, ma Miss Parker aveva sentito la sua esitazione e ne era rimasta turbata. Cercò di farsi forza - è...è morto? Jarod è morto? Rispondi, dannazione!!! - gridò.
- Non glielo so dire - disse l'uomo mentre caricava alla cieca la sua pistola - hanno cominciato a sparaci addosso, ci siamo sparpagliati per la stanza.
Non so che sia stato di lui. - Miss Parker aveva già smesso di ascoltarlo.
Poteva essere già troppo tardi.
Forse Jarod era stato ucciso.
Forse era ferito gravemente ed il tempo passava, forse...
Qualunque cosa fosse successa, o stesse accadendo in quel momento, era tutta colpa sua.
No, non era vero, non era vero! Doveva essere ancora vivo!
Per un breve momento, gli spari tacquero. Vi fu una pausa nella quale forse, tutti erano impegnati a ricaricare le armi. Miss Parker si sporse dal nascondiglio e puntò lo sguardo nell'oscurità davanti a sé.
- JAROD!!! - gridò con tutto il fiato che aveva.
Jarod si scosse come fosse stato colpito da un'altra pallottola. Era lei?
Era Miss Parker? No, non poteva essere lì vicino a lui, non lì, non in quel momento. Doveva essere stato uno scherzo della sua mente sotto stress.
- Jarod...Jarod sei qui? Sei qui? - gli spari ripresero e con più violenza di prima. La voce di Miss Parker fu sommersa dagli spari. Oltre alle pistole erano entrate in azione anche le armi automatiche che stavano distruggendo quel poco che era rimasto in piedi durante la sparatoria. Jarod si rannicchiò dietro il tavolo più che poté. Con la coda dell'occhio vide delle ombre vicino alle luci di emergenza; Erano proprio alla sua sinistra.
Un po' sopra, le fiamme tradivano la presenza di un'arma che sparava a regime automatico in direzione dell'entrata dell’altro tavolo. Jarod prese la mira attentamente e sparò in direzione dell’ombra.
Jarod sentì un grido: il colpo era andato a segno.
Più in là, un uomo bestemmiava tra uno sparo e l'altro. Jarod tolse lo straccio dalla canna della pistola, puntò l’arma in direzione delle bestemmie, e sparò tre o quattro colpi ad altezza delle gambe, poi fece un balzo nella stessa direzione. Nella tensione, si era dimenticato della ferita, ma il movimento brusco gli strappò un gemito di dolore. Si riaccovacciò nella nuova posizione e si mise una mano sulla gamba. Vide brillare più vicina, la spettrale luce verde dell'uscita d'emergenza.
La porta non era lontana, ma forse era troppo lontana per lui.
Miss Parker intanto si sentiva sempre peggio, come paralizzata dell'ansia per Jarod. Era troppo importante che fosse ancora vivo, troppo importante per le ricerche del Centro e...
e lo era anche per lei, non poteva negarlo a sé stessa. Non in quel momento.
In fondo alla stanza, Jarod, ancora dolorante, continuava a nascondersi dietro un altro tavolo. Era vicino all'uomo al quale aveva sparato alle gambe e che si lamentava sommessamente. Poggiò la schiena al tavolo da gioco e guardò di nuovo la luce dell'uscita d'emergenza. Era a 5 metri dalla porta; un passo ed allo stesso tempo un'eternità.
Contando le persone che continuavano a sparare, Jarod dedusse che dovevano esserci almeno tre vittime e dunque vi erano ancora cinque uomini, anche se ne sentiva sparare solo altri tre. Dovevano essere uomini di Ortega.
- JAAAAAROOOOD!!!!! - Jarod ebbe uno scatto, un riflesso dei muscoli, come se il suo corpo, sciolto dalla sua mente, avesse espresso la volontà di scappare. Solo una donna poteva fargli quest'effetto. Sì, era Miss Parker, era davvero lei - JAROD...rispondi!!! - altri spari coprirono la voce della donna. - Jarod...Jarod, sei vivo??? - nonostante il momento, Jarod sentì che stava per ridere. Non sapeva perché, ma la situazione aveva qualcosa di ridicolo. - SEI VIVOOOO??
- NO, MISS PARKER - gridò Jarod sorridendo - SONO MORTO E SEPOLTO!!! - si fece forza e nonostante il dolore si alzò di colpo ad altezza uomo e aprì il fuoco in direzione degli ultimi spari che aveva sentito nella sua direzione.
Continuando a sparare, cercò di correre fino alla luce dell'uscita di sicurezza che poteva vedere dal suo nascondiglio, ma il dolore alla gamba non gli permise si andare avanti e Jarod cadde proprio vicino alla porta. Improvvisamente, da dietro, qualcuno gli cadde addosso, qualcuno che come lui, aveva cercato di correre verso l'uscita. Jarod non poteva sapere chi fosse.
Si girò come un gatto, afferrò strettamente l'uomo e gli puntò la pistola alla testa.
- Chiunque tu sia, farai bene a non muoverti, inteso? - ringhiò - il gioco è finito. - Jarod non fece in tempo a pronunciare queste parole che qualcuno fece irruzione nella stanza.
- POLIZIA! FERMI, mettete già le armi!!! - gridò un uomo nella penombra. La luce tornò di colpo e Jarod rimase stordito per una frazione di secondo. Rimase sorpreso appena poté vedere chi era l'uomo che teneva in ostaggio; era ... ORTEGA!
Allora non era morto, come aveva pensato. Dovevano essersi sparati addosso da vicinissimo, dato che sia lui che l'ispanico, avevano avuto modo di correre per primi verso quell'uscita.
L'uomo guardava Jarod con gli occhi sbarrati, degli occhi che da neri e profondi come buche oscure, erano divenuti rossi, sia per la polvere da sparo nell'aria che per la rabbia.
- Maldito hijo de puta - mormorò Ortega con gli occhi quasi schizzati dalle orbite - diablo de un hombre! Sei ancora vivo...!!!
- Sì...pare proprio di sì - mormorò Jarod accennando ad un sorriso.
Jarod si voltò verso la soglia della stanza e vide degli uomini della SWAT che stavano venendo verso di lui con le armi puntate. Aveva difficoltà a comprendere che cosa gli stessero dicendo; era ancora assordato dai colpi di pistola.
Non ebbe in ogni caso problemi ad intuire il senso dei loro gesti; Sicuramente gli stavano ordinando di deporre le armi.
Jarod non oppose resistenza. Poggiò la pistola a terra e mostrò le mani vuote. Ortega fece per allontanarsi da lui ma fu placcato da due poliziotti del gruppo che lo presero e trascinarono dall'altro lato della stanza per perquisirlo. Jarod rimase in ginocchio, il crollo della tensione e la ferita alla gamba gli impedivano di muoversi.
Un agente di polizia, vedendo che era ferito, si avvicinò a lui.
- Stia fermo, ora le chiamo un dottore - Jarod scosse piano il capo.
- Non è nulla. Mi potrebbe aiutare ad alzarmi...? - l'agente lo prese per un braccio e Jarod riuscì a mettersi in piedi. Quando finalmente poté guardarsi attorno senza il timore di essere investito da una scarica di mitra, Jarod rimase colpito di vedere da dove era riuscito ad uscire pressoché indenne.
Guardò la stanza stupefatto. Era incredibile che ce l'avesse fatta. Forse il destino esisteva davvero, forse non era stata ancora la sua ora.
Lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi era più desolante di discarica. Non c’era praticamente un punto in cui in tutto, ogni più piccolo oggetto della sala, non fosse stato danneggiato dagli spari. I tavoli da gioco erano ridotti ad ammassi di legna da ardere. Il pavimento della sala era sporco di sangue, mescolato ai liquori che si erano rovesciati a terra, con la cenere delle sigarette.
Guardò i muri crivellati di colpi. Dai fori nelle pareti usciva ancora il fumo dei proiettili; anche il soffitto era stato sfregiato dai numerosi colpi di rimbalzo. Vi erano bossoli dappertutto. La nebbiolina provocata dalla polvere da sparo completava il tutto e dava allo scenario un aspetto quasi surreale.
Poco a poco, prese coscienza del mucchio di gente che aveva attorno. Intravide Sad appoggiato al muro con una spalla insanguinata ed un paramedico chino su di lui a prestargli i primi soccorsi. Altri medici controllavano gli scagnozzi di Ortega che erano stesi qua e là per la stanza; qualcuno era ferito, la maggior parte di essi erano morti.
Un altro agente, vedendolo in piedi, lo spinse contro il muro con poco riguardo, e cominciò a perquisirlo. Quando si assicurò che fosse disarmato, Jarod poté girarsi e si vide davanti il detective Rupert e Jason, che intanto erano riusciti a farsi largo tra la confusione per andare a cercarlo. Vide che sul viso, a parte qualche nuovo livido, avevano ancora tracce della tensione alla quale erano stati sottoposti; Era stata dura anche per loro.
- Jarod...sei vivo! - mormorò Jason.
- Neils, tutto bene? - Jarod non riuscì a sentire quello che i due gli avevano detto ma rispose loro con un sorriso che li tranquillizzò, poi continuò a guardarsi in giro con espressione stupita. Si sentiva ancora stordito per i rumori e la gamba gli faceva male, ma era un miracolo che fosse ancora vivo.
Ad un tratto la vide. Il suo sguardo incrociò quello freddo di lei. Strano.
No, stavolta gli occhi di Miss Parker non erano così freddi.
Nessuno dei due poteva sapere che sia l'uno che l'altra si erano sentiti sollevati dal vedere che entrambi erano usciti incolumi da quel massacro.
Miss Parker fece per aprire bocca ma improvvisamente due agenti furono su di lei e la bloccarono. La donna fu spinta contro il muro e perquisita come prima avevano fatto con Jarod. Se il suo udito era ancora provato, lo stesso non valeva per la vista, così Jarod poté gustarsi la scena e l'evidente disagio di Miss Parker.
Era così strano vederla ubbidire a degli ordini.
Sorprendentemente, si accorse che Miss Parker non stava opponendo molta resistenza all'arresto. Forse era troppo stanca per farlo, chissà.
Prima di essere accompagnata fuori, Parker si voltò di nuovo verso Jarod e lo fissò profondamente negli occhi; fu solo un attimo, giusto perché lui potesse rendersi conto che i suoi erano tornati gelidi come sempre; quello era lo sguardo della Miss Parker che lo braccava senza sosta.
Lei avrebbe ripreso a cercarlo, lui avrebbe ripreso a fuggire; lo sapevano entrambi. Non era cambiato nulla, solo che la sua fuga non era finita lì, ed in quel momento.
Jarod la seguì con lo sguardo fin quando non fu trascinata fuori. La sagoma della donna si perse tra le altre che entravano ed uscivano dalla sala.
- Jarod - sentì una mano sulla spalla. Si voltò, era Jason - Jarod, vieni, usciamo di qui.
Jason lo sorresse e lo condusse fuori dalla sala privata e poi dal casino.
Jarod uscì zoppicando dall'edificio, reggendosi sulle spalle di Jason. Il detective Rupert era andato avanti per impedire che, uscito fuori, Jarod fosse aggredito da agenti che non lo avevano riconosciuto e dalle domande. Era davvero distrutto.
Appena fuori dal Casino, Jarod fu colpito dalla terribile confusione che vi era per la strada.
Auto della polizia con i lampeggianti accesi, ambulanze nelle quali cominciavano a caricare i feriti. Vide anche che iniziavano ad arrivare i giornalisti.
Una telecamera della TV locale, stava già registrando l'uscita dell'eroico agente infiltrato della narcotici, che era riuscito a sgominare l'organizzazione di Ortega ed a salvarsi da una strage. Era un miracolo.
Eppure in quel momento, là fuori, tra tutta quella gente che lo guardava ammirata ed incuriosita, Jarod non si sentì un eroe.
Si fermò davanti all'ingresso del casino ed inspirò l'aria fresca della sera, un'aria appena mossa da un venticello piacevole.
E nonostante le luci ed i rumori, nonostante il dolore alla gamba e lo scampato pericolo, Jarod pensò che il vero miracolo era quell'aria sottile che stava respirando in quel momento, ed il fatto che lui fosse ancora un uomo libero.

Qualche tempo dopo in una località degli STATI UNITI

Un uomo si avvicinò alla finestra con andatura sicura, guardò fuori. Prese il cellulare dalla giacca e fece rapidamente un numero.
- Cosa? - la risposta fu quasi immediata. Jarod sorrise.
- Sono io.
- Jarod...dove...?
- Sai bene che non te lo dirò - disse Jarod quasi con dolcezza. Rimase un momento in silenzio; anche Parker non disse nulla - non trovi sia stato quasi un miracolo ch'io sia uscito vivo da quel Casino?
- Sì, è stato un miracolo - mormorò Miss Parker - un miracolo che ti ha permesso di frugare tra le mie cose e riprenderti la DSA. - aggiunse la donna con tono aspro ed ironico - Sai, non è stato molto gentile da parte tua, approfittare del mio fermo.
- Credevi davvero che te l'avrei lasciata?
- Ho rischiato la vita per prenderla a quei due idioti che erano venuti a curiosare nella tua suite.
- Ma sei viva.
- E lo sei anche tu - mormorò Parker - tutto come prima.
- Tutto come sempre - disse Jarod guardando il tramonto da dietro la finestra.
- Jarod...
- Che cosa c'è?
- Dimmi, come va la tua gamba? - Jarod sorrise di nuovo.
- Da quando ti preoccupi della mia salute?
- Non farti illusioni - disse Parker con tono tagliente - era per sapere quanto veloce puoi correre, mio caro. Ora potrei essere molto vicina a te... - Miss Parker riattaccò prima che Jarod potesse dirle qualcosa. Per una volta, volle farlo lei.
Chissà dov'era Jarod, chissà dove sarebbe andato.
In ogni caso, Miss Parker decise che non era il momento di pensarci.
Jarod spense il cellulare e lo rimise nella tasca della giacca.
Aspettò che le ultime luci del giorno scomparissero dietro le montagne, e che un altro tramonto da uomo libero sfumasse nella sera. Poi, Jarod prese in mano la sua valigia ed uscì dalla stanza di un'altra casa in un altro luogo che forse non avrebbe rivisto, ignorando che domani lo avrebbe aspettato e, soprattutto, chi sarebbe stato il giorno dopo.

(Fine)

Scritto da TS e SELAS.

 

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